I test genetici : panoramica generale di Vari autori si sono sforzati di immaginare quale sarà il futuro della medicina, che appare sempre maggiormente influenzata dalle scoperte della genetica (Collins, 1999). I medici si domandano fino a che punto le nuove conoscenze influenzeranno la pratica clinica d'ogni giorno. Ci possiamo chiedere se le attese di una medicina preventiva, basata sulla genetica, siano reali e percorribili, oppure se non si tratti d'ipotesi fantascientifiche. Numerose evidenze fanno ritenere che questa trasformazione sia reale e incombente. Tuttavia, una previsione prudente suggerisce che, per un certo numero d'anni, la principale ricaduta della genetica molecolare sulla pratica clinica riguarderà ancora essenzialmente i test genetici, che sono destinati a migliorare le possibilità di controllo, soprattutto di diagnosi e prevenzione, di svariate centinaia di malattie. Anche se il termine test genetico ha significati diversi (Roses, 2000), in genere, nella pratica clinica definisce l'analisi di un gene, del suo prodotto o della sua funzione o l'analisi di un altro DNA o dei cromosomi, finalizzata ad individuare o ad escludere un'alterazione verosimilmente associata con una malattia genetica (Harper, 1997). I test genetici sono eterogenei. Nella pratica medica, essi sono per la maggior parte utilizzati con finalità diagnostiche. I test diagnostici si effettuano sulle persone che hanno, o si sospetta che abbiano, una particolare malattia; il quesito che tentano di risolvere è se il paziente abbia o non abbia una determinata malattia, e non se la svilupperà in un certo momento della sua vita. I test genetici sono classificati invece come presintomatici, quando identificano il rischio di sviluppare una malattia in futuro in una persona non affetta al momento dell'analisi e che appartiene ad una famiglia nella quale uno o più individui hanno una malattia ad esordio tardivo. Un risultato patologico dell'analisi indica che quella persona è destinata a sviluppare la malattia ad un certo momento della sua vita, ammesso che viva sufficientemente a lungo (ad es. Corea di Huntington). Quest'informazione è importante, in quanto consente di attivare interventi preventivi, che possono incidere sulla morbilità e sulla mortalità, e, soprattutto, consente alle famiglie di razionalizzare la loro pianificazione. I familiari che invece non hanno la mutazione eliminano lo stato d'ansia ed evitano indagini inutili. I test genetici rivolti all'identificazione dei portatori individuano le persone che presentano un rischio riproduttivo aumentato per alcune malattie recessive comuni, sia attraverso gli screening di popolazione (ad es. talassemia nell'area del Mediterraneo), sia con gli screening a cascata, sui familiari dei pazienti affetti da malattie comuni in certe popolazioni (ad es. fibrosi cistica nei Caucasici) o nelle consanguinee, non affette, dei maschi con malattie recessive legate all'X (ad es. ritardo mentale da FRAXA). Infine, i test genetici predittivi riguardano numerose affezioni comuni, nelle quali il rischio di malattia è aumentato o ridotto, ma con un livello di accuratezza molto più basso, rispetto a quello degli altri test genetici (ad es. ApoE4 e malattia di Alzheimer, polimorfismi del recettore delle chemochine e AIDS). Alcune indagini nazionali hanno dimostrato che la domanda di test genetici aumenta di circa il 30% o più ogni anno (Dallapiccola et al., 2000). La sfida è quella di assicurare che i test genetici siano offerti nella maniera più efficace e corretta, con elevati standard qualitativi. Quest'obiettivo può essere raggiunto solo se i test genetici sono considerati come un servizio integrato e non solo come un'attività di laboratorio. Rispetto al classico concetto applicato alle altre analisi di laboratorio, che sostanzialmente richiedono l'acquisizione del campione, l'indagine dei laboratorio e la compilazione del referto, i test genetici dovrebbero essere preceduti da una fase di preparazione, informazione e sottoscrizione del consenso e la consegna del referto dovrebbe essere seguita dalla discussione e dall'interpretazione del risultato e, quando indicato, dal supporto all'utente. In certe situazioni (ad es. in alcuni test diagnostici e in quelli dedicati all'identificazione dei portatori) la fase preliminare può essere limitata, e il consenso scritto può sostituire la costosa e complessa consulenza genetica. Tuttavia, in altre situazioni (ad es. i test presintomatici per le malattie ad esordio tardivo, come la corea di Huntington e alcuni tumori familiari), la consulenza genetica è importante almeno quanto la fase di laboratorio. Restano irrisolte alcune domande, ad esempio quanta informazione debba essere fornita ai pazienti, quando l'informazione debba considerarsi eccessiva e in quale maniera si possa garantire la piena libertà del consenso (Macklin, 1999). E' probabile che l'aumento della domanda di test genetici sarà accompagnata da una crescente difficoltà, o addirittura dall'impossibilità, di informare gli utenti su tutto ciò che sarebbe importante sapere e sulle implicazioni dell'informazione trasmessa (Elias & Annas, 1994). Di conseguenza è stato proposto di predisporre un modulo generico da utilizzare nei test genetici, in modo da fornire sufficienti informazioni, utili ad assumere decisioni autonome, evitando l'eccesso d'informazione, che potrebbe portare a sottoscrivere un consenso non adeguatamente informato (EUROGAPPP, 2000). Tuttavia, questipotesi è in disaccordo con l'idea corrente di fornire un consenso specifico per ogni test genetico. La fase di laboratorio di un test genetico è spesso complessa. E' oggi noto il gene-malattia di svariate centinaia di malattie ereditarie. Sono stati identificati alcuni hot spots per le mutazioni (ad es. anemia falciforme, corea di Huntington). La sfida attuale è quella di standardizzare i protocolli e renderli idonei ad identificare le mutazioni presenti nella maggior parte delle malattie. Tuttavia, è necessario risolvere preliminarmente alcuni aspetti, come ad esempio chiedersi se il test sia uscito dalla fase di ricerca e sia un servizio condiviso da tutti; se il test sia utile; chi debba eseguire il test. Altre risposte devono essere fornite in termini di controllo di qualità, validità scientifica dell'analisi, la sua accuratezza, la sua efficacia e i costi. Tutti questi aspetti sono estremamente importanti, come tra l'altro ha dimostrato lo studio collaborativo sul controllo di qualità dei test genetici per la fibrosi cistica in Europa, che ha dimostrato che solo il 48% dei laboratori che avevano preso parte ai tre anni della ricerca non avevano mai sbagliato la diagnosi, mentre il 39% aveva commesso un solo errore e il 2% aveva commesso errori in tutti e tre gli anni (Dequeker and Cassiman, 2000). L'European Directory of DNA Laboratories (EDDNAL) ha evidenziato una serie di differenze tra i laboratori diagnostici, in termine di copertura geografica del servizio, efficienza, controlli di qualità. La sfida più importante e più immediata appare perciò quella di fornire ogni Paese di una rete efficiente di laboratori diagnostici, che condividano protocolli, controlli di qualità, esperienze e linee-guida. Inoltre deve essere perseguito l'obiettivo di offrire i test genetici solo nel contesto della consulenza genetica. Varie esperienze, compresa quella del test presintomatico sui familiari dei pazienti con corea di Huntington, si accordano con questa raccomandazione (Almqvist et al., 1999) e suscitano una domanda, alla quale è ancora oggi difficile dare una risposta: "quanto è pericolosa la mina vagante del test genetico nella corea di Huntington?"(Bird, 1999). I test genetici comportano quindi problemi sia di natura tecnica, che psicosociale. Gli aspetti tecnici sono spesso ignorati. Molti test non sono in grado di fornire risposte, sia perché molte malattie sono geneticamente eterogenee e non sono ancora noti tutti i geni causali, sia perché i test correnti spesso non sono in grado di identificare le mutazioni (fino al 75% dei casi). Relativamente agli aspetti sociali, sono oggetto d'attenzione e di dibattito le potenziali discriminazioni sul lavoro e in campo assicurativo, il tema della tutela della privacy, la diagnostica prenatale rivolta alle malattie poco invalidanti o ad esordio tardivo, il significato dei test genetici nei casi in cui non sia disponibile nessun intervento efficace. Questi aspetti sono causa d'ansia e di preoccupazione e raccomandano che le indagini genetiche siano sempre integrate con la consulenza genetica. Un aspetto persino più complesso riguarda i test genetici dedicati alle malattie comuni, che affliggono oltre la metà della popolazione adulta e si associano ad elevata mortalità e morbilità. Un piccolo numero di loro rappresenta il sottotipo mendeliano di una malattia comune; il relativo test genetico ha un importante valore diagnostico ed è utile nella definizione del rischio. Sono illustrativi gli esempi dei tumori della mammella (BRCA-1 e BRCA-2), i tumori del colon (poliposi familiare - FAP - e tumore ereditario non poliposico - HNPCC), la malattia di Alzheimer (proteina precursore della B-amiloide - APP - e presenilinaI e -2) e il diabete (diabete del giovane ad esordio nell'età matura - MODY-1, -2 e -3). Il successo nell'identificazione di questi geni, ad eredità mendeliana o quasi-mendeliana, ha generato notevole ottimismo, circa la possibilità di utilizzare metodi analogi (ad es. analisi di linkage e clonaggio per posizione) per identificare i geni-malattia di svariate malattie comuni, ad aggregazione familiare, in assenza di una trasmissione ovviamente mendeliana. Sono stati identificati numerosi polimorfismi che conferiscono suscettibilità a queste malattie, e sono stati descritti alcuni meccanismi che spiegano la loro interazione con l'ambiente. Tuttavia, la maggior parte di questi alleli si associa a rischi modesti e non con la certezza di sviluppare quella malattia. Inoltre, la concordanza non è obbligatoria nei gemelli monozigoti, dato che la penetranza è largamente dipendente dall'ambiente e il suo meccanismo d'azione non è spesso noto. Per questo, la domanda di test predittivi è molto limitata al momento, in particolare perché i rischi genetici sono poco definiti, esiste solo una limitata evidenza della loro utilità, la loro capacità predittiva è mal definita, la maggior parte di loro è ancora in fase di studio e di messa a punto, la terapia è solo speculativa e le persone appaiono poco disponibili a cambiare il loro stile di vita. Il completamento del sequenziamento del genoma umano prospetta nuove opportunità per decifrare le basi biologiche delle malattie complesse, attraverso la disponibilità di nuovi strumenti per lo scanning del genoma (Risch, 2000). La medicina molecolare ha introdotto nella pratica clinica una nuova forma di prognosi, basata sulla possibilità di identificare i geni della suscettibilità. Ciò aumenta le capacità d'allertare il paziente potenziale che ad un certo momento della sua esistenza, con una certa probabilità o quasi con certezza, si ammalerà di una malattia di maggiore o minore gravità. Tuttavia la porzione principale del percorso, che divide il genotipo dal fenotipo, non è ancora stata decifrata e sono necessari ulteriori indagini per comprendere le implicazioni di questi test sulla prognosi e il loro peso nella complessità biologica. Non appena questi dati si renderanno disponibili, la definizione della prognosi, basata su una predizione statistica, cederà il passo ad un'informazione accurata, veritiera ed individualizzata. Questa è una delle sfide principali della medicina molecolare nei prossimi anni. Jonsen et al. (1996) hanno ipotizzato che le crescenti possibilità d'analisi dei geni della suscettibilità alle malattie comuni spingerà nel mondo della medicina milioni di persone che non hanno nessuna esperienza delle malattie. Se da un lato, una parte di loro trarrà beneficio dalle informazioni ricevute e sarò indotto ad attivare programmi di prevenzione, molti altri saranno spinti nella classe degli unpatients. Questo termine è stato utilizzato per identificare persone che non sono pazienti, nel senso non stanno ricevendo nessuna cura, e neppure non-pazienti, nel senso che non sono esenti da tutte le condizioni medicalmente rilevanti. Si tratta, di fatto, di soggetti che rientrano in una nuova categoria di persone, che attendono o scrutano ogni possibile sintomo di malattia, organizzano la loro esistenza attivando programmi di monitoraggio clinico e di laboratorio e alcuni di loro diventeranno "malati immaginari" e svilupperanno sintomi psicosomatici. La medicina molecolare si trova perciò nella necessità di riconsiderare la natura dei benefici e degli abusi prodotti dalla rivoluzione genetica. E' stato scritto che ogni molocola di DNA di una persona è un possibile diario di eventi futuri, piuttosto che la memoria del passato (Annas, 1993). La medicina molecolare offre gli strumenti per decifrare il diario d'ogni persona che, per definizione contiene un insieme di geni-malattia e alleli di suscettibilità (e di resistenza) alle malattie. Queste analisi suscitano perciò problemi di giustizia, a causa del potenziale rischio che comportano di generare distinzioni e discriminazione. Per questo, la definizione delle basi biologiche delle malattie genetiche, rare e comuni, deve essere accompagnata da interventi legislativi appropriati. La discriminazione razziale, che si basava su presunte differenze genetiche interindividuali, deve essere un monito al cattivo uso dell'informazione genetica. Se da un lato oggi sono scomparsi i programmi di eugenica negativa, ci si può chiedere se essi non saranno rimpiazzati da un'eugenica più sottile, accreditata dalle tecnologie, supportata dai medici e condivisa dalle coppie, nella loro pianificazione familiare. E' giusto che ci chiediamo, una volta che si renderanno disponibili potenti strumenti di screening, capaci di predire la salute o l'intelligenza, quale considerazione avremo di noi stessi, dei nostri figli e dei disabili? (Reilly, 2000). Le implicazioni etiche, legali e sociali (ELSI) delle analisi genetiche applicate alla definizione del profilo farmacogenetico differiscono per vari aspetti dai test genetici applicati alla predizione delle malattie. La farmacogenetica studia i polimorfismi del DNA e i loro rapporti con la risposta individuale ai farmaci; la farmacogenomica definisce invece lo studio del genoma e dei suoi prodotti e i loro rapporti con la scoperta e lo sviluppo di farmaci (Pharmacogenetics Working Group, 2001). Pertanto, la farmacogenetica ha obiettivi propri e distinti, non è rivolta alla diagnosi e alla predizione delle malattie, s'interessa di persone che già hanno una diagnosi o che sono state identificate con una suscettibilità ad ammalare, che già dispongono di una terapia, che questa nuova scienza tenta di valutare in termini di efficacia e tollerabilità (McPherson et al., 2000). In conclusione, è necessario che tutti gli organi e gli enti, compresi i governi, le università e le industrie collaborino insieme nella costruzione del sistema sanitario del futuro. E' stato predetto che non appena sarà possibile sequenziare tutto il genoma di una persona e metterlo su un dischetto o su un chip, la molocola del DNA e la cartella medica diventeranno un tutt'uno. Prima di raggiungere quest'obiettivo (peraltro oggi poco realistico) sarà necessario rispondere ad alcuni punti generali: in primo luogo, chi è autorizzato a creare quel dischetto; in secondo luogo, chi lo conserva; in terzo luogo, chi controlla l'uso del dischetto; in quarto luogo, come sarà possibile garantire che il dischetto, che contiene il genoma, sia trattato come un'informazion medica privata e particolarmente sensibile (Annas, 2000). E' chiaro che la rivoluzione genetica, che è stata avviata, ci sta portando verso un mondo nel quale saremo in grado di influenzare e decidere, in larga misura, la nostra futura evoluzione. |