Ieri, come ogni anno, Privacy.it ha avuto il privilegio di poter fruire dell’invito ad assistere alla presentazione della Relazione annuale del Garante per la Protezione dei Dati Personali. L’evento aveva un sapore speciale: quest’anno il Garante festeggia i 20 anni della propria attività istituzionale e noi di Privacy.it (nella nostra ben più limitata missione) ci siamo resi conto che – occupandoci della materia dal febbraio 1997 – siamo una voce addirittura un poco “più vecchia” di quella dell’Autorità.

A guardarsi indietro, sembrano trascorse alcune ere geologiche. Scorrendo oggi il testo della Relazione 1997, oltre a rinvenirsi tanti passaggi relativi alla corretta implementazione della prima normativa nazionale sulla privacy (l.675/1996), un fatto colpisce in modo particolare: si fatica a trovare riferimenti ad Internet. Ieri, invece, non s’è parlato d’altro che di dimensione digitale, di Internet of Things, di profilazione online, di web-ranking reputazionale, di cyber-bullismo, del ruolo dominante dei big player della rete. E gli orizzonti normativi non sono più quelli nazionali ma quelli europei del GDPR e dell’emanando regolamento e-Privacy.

Sono stati molteplici gli spunti di interesse trattati dal Presidente Soro nel suo articolato discorso di presentazione; e non ci soffermiamo qui sui dati relativi alle attività riportati nella Relazione 2016 che sono ben sintetizzati dal Ufficio stesso in apposita comunicazione per la stampa.

In queste righe, preme invece soffermarci sullo speech di saluto della Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini innanzi agli occhi attenti del Presidente della Repubblica. Nella elegante cornice della Sala della Regina in Montecitorio, la Presidente ha voluto richiamare l’attenzione degli astanti sullo strapotere di Google e di altri “Over the top” (Apple, Facebook, Microsoft), entità che hanno accumulato una forza tale da essere ormai in grado di condizionare la vita di miliardi di persone. Un super power a cui evidentemente non è finora corrisposta una pari capacità di controllo da parte di quelle istituzioni – nazionali e sovra nazionali – che in democrazia hanno il compito di stabilire regole e farle rispettare per difendere e promuovere diritti e libertà dei cittadini.

Il punto evidenziato dalla Presidente è, in questo momento, un problema cruciale della società dell’informazione digitalizzata in cui viviamo. La tecnologia va molto veloce, al punto che le nuove generazioni (ma non solo) sono invitate a sviluppare la propria personalità (ormai digitalizzata) in territori sconosciuti e senza istruzioni sulle controindicazioni di breve e lungo termine. La Legge non riesce a stare al passo con queste accelerazioni (spesso improvvise) e i colossi del web non collaborano a sufficienza con le istituzioni, specie in termini di apporto stabile alla stesura di regole da applicare alle nuove frontiere. Il contributo più urgente e fattivo che costoro possono dare è quello di approntare sistemi per porre subitaneo rimedio a situazioni di grave ingiustizia che, talora da un minuto all’altro, si possono venire a creare e su cui solo loro hanno facoltà di intervento immediato. Ingiustizie che accadono nel mondo virtuale ma che si riverberano direttamente su quello reale degli individui che le subiscono. E laddove non ci siano reponsabilità e collaborazione, i governi devono avere strumenti e possibilità di forzare la mano ai detentori del potere online.

Questioni già note agli esperti di settore, e non solo. Ma suddette considerazioni ci sono risultate particolarmente significative avendo a mente che l’oratore che le ha pronunciate non è soltanto la terza carica dello Stato ma è anche una donna che ha dovuto sperimentare nel proprio intimo il dolore causato da un uso distorto e malevolo del web.

Lo scorso aprile una fake news insinuava che l’unica sorella del Presidente della Camera gestisse cooperative di assistenza ai migranti. Un’altra notizia falsa attribuiva alla medesima il percepimento della pensione fin dalla età di 35 anni. Informazioni prive di alcun fondamento che hanno fatto il giro della rete, inoltrate e ritwittate in un men che non si dica fino a guadagnarsi il sigillo pubblico di presunta verità. Distorsioni che hanno varcato qualsiasi limite di decenza tenuto conto del fatto che la sorella è tragicamente e prematuramente scomparsa anni fa.

L’On. Boldrini, che è sempre stata attiva sul fronte dei diritti digitali, da quel momento sembra, comprensibilmente, aver preso ancora più a cuore la battaglia per la tutela dei diritti in rete e per la responsabilizzazione dei giganti che consentono agli utenti di diffondere liberamente contenuti che possono manipolare le persone e ferirne profondamente altre, senza che vi siano strumenti efficaci di pronta riparazione o inibizione delle condotte illecite.

Ieri abbiamo percepito questo impegno e coinvolgimento nella espressività della sua voce e del suo sguardo, ancor più che nelle sue parole. Parole che riteniamo comunque importante riproporre – qui di seguito – a chi legge.

 

Buongiorno a tutti a tutte.

Saluto e ringrazio il Presidente della Repubblica Sergio Matterella, la Ministra Anna Finocchiaro, il questore del Senato Lucio Malan, il Presidente Antonello Soro insieme agli altri componenti dell’Autorità Garante, e tutte le personalità oggi presenti.

Mi fa particolarmente piacere, Presidente Soro, che la Camera sia anche quest’anno la sede in cui viene presentato il resoconto del vostro lavoro. Per di più, stavolta coincide con un anniversario importante: la celebrazione del ventennale dall’entrata in vigore della prima legge sulla privacy.

Sono passati vent’anni, ma sembra molto di più: davvero il secolo scorso.

Ma col tempo abbiamo dovuto capire sempre meglio che sul fronte della tutela dei dati personali si gioca una partita importantissimamagari all’epoca non sapevamo cosa avrebbe rappresentato. Oggi vediamo che si gioca la partita del nostro essere cittadini. Senza enfasi si può affermare: per la qualità della nostra democrazia.

“Google, Apple, Facebook e Microsoft, insieme, hanno una capitalizzazione di borsa equivalente al Pil della Francia. Chi può contrastarli? Ormai sono più potenti dei governi”. Cito le parole di un manager come Franco Bernabè – dall’intervista di sabato scorso, sul Sole 24 Ore – per dire che a questo strapotere non ci si può rassegnare, nessuno Stato democratico può rassegnarsi. Qui alla Camera, in questa legislatura, abbiamo cercato di fare la nostra parte.

E in questa attività le nostre strade si sono spesso incrociate con l’essenziale lavoro svolto dal Garante.

La dimensione digitale è, sotto molti aspetti, straordinaria, ci apre un potenziale incredibile, ma nessuno ci può imporre di subirne senza fiatare il ‘lato oscuro’.

In democrazia non possono esistere poteri che non siano chiamati a rispondere alle istituzioni, nazionali o sovranazionali.

E’ anche per queste considerazioni che in questa legislatura ho voluto istituire due commissioni, visto che tra quelle permanenti di Montecitorio ne manca a tutt’oggi una sugli affari digitali. Una è sui ‘Diritti e doveri in Internet’; l’altra è per contrastare i fenomeni di odio razzismo e intolleranza nel discorso pubblico, che sul web si diffondono con grande facilità.

In tutti e due gli ambiti, la parola-chiave è stata ‘responsabilità’. Quella che agli Over The Top deriva da un grande potere, ma anche da fatturati stratosferici. Il tempo della responsabilità dovrebbe indurli ad andare oltre la considerazione di se stessi come semplici ‘autostrade’ sulle quali viaggiano veicoli – post, tweet, video – dei quali dicono di non sapere nulla.

Così come non è irrilevante che si assumano responsabilità fiscali, lasciando risorse nei Paesi in cui fanno così lauti profitti, è anche importante che si assumano responsabilità editoriali: anche per non fare concorrenza sleale verso i soggetti editoriali.

La settimana scorsa la Commissaria europea Vera Jourova ha presentato per la seconda volta i risultati dell’applicazione del ‘codice di condotta’ che le quattro principali piattaforme di “social media”, Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft avevano sottoscritto un anno fa, impegnandosi a cancellare entro 24 ore dalla segnalazione i  messaggi di incitamento all’odio.

La prima volta la percentuale di messaggi di odio cancellati dall’Italia era il 4%. Ora vanno un po’ meglio le percentuali, ma ancora c’è strada da fare. Vanno meglio perché adesso vengono controllati solo i messaggi di odio segnalati dall’Unar. Ma quando i cittadini segnalano in modo indipendente i loro messaggi non vengono considerati.

Allora c’è da chiedersi chi debba avere l’ultima parola su cosa sia corretto o non corretto. Sul se e quando concedere ad un cittadino la facoltà di esercitare un suo diritto. Può essere la piattaforma digitale ad avere questa prerogativa. E’ questo il punto, oggi.

Penso, al riguardo, anche alla risposta data a chi ha denunciato la presenza in rete di centinaia di pagine di Facebook inneggianti al nazifascismo, chiaramente apologetiche. La nostra community ha regole diverse da quelle italiane”, ha replicato Facebook. Non mi sembra una risposta compatibile con la gerarchia che deve esistere tra le leggi di uno Stato e le regole interne di una azienda.

Facebook in Italia ha ormai 30 milioni di utenti, la metà della popolazione. Parliamo di numeri stratosferici. Mark Zuckerberg ha annunciato di aver aggiunto 3000 persone alle 4500 del suo team di sorveglianza: per 2 miliardi di utenti, pensate alla proporzione. A me questo annuncio fa piacere, ma vorrei sapere quante di queste persone verranno destinate al nostra Paese. Questo è un dato assolutamente rilevante.

Si tratta di richieste tutto sommato modeste, se facciamo il raffronto con quello che sta avvenendo in queste settimane in Germania: come sappiamo, il Bundestag sta esaminando un progetto di legge governativo che mira ad introdurre una serie di obblighi molto precisi a carico delle piattaforme, con pesantissime sanzioni pecuniarie. Nel nostro Paese non siamo in questa fase, ma almeno chiediamo che alla cancellazione di messaggi di odio venga destinato personale adeguato.

Personalmente ritengo che una regolamentazione dell’argomento in questione debba essere elaborata, ma a livello europeo. Non possiamo affidarci all’iniziativa di ogni singolo Paese. Anche sotto questo punto di vista abbiamo bisogno di più Europa. Un’azione concertata a livello di Unione è essenziale per non risultare velleitari di fronte a poteri così evidentemente sovranazionali.

E non possiamo non tener conto di un’altra minaccia: quella del terrorismo islamista che della rete fa un essenziale strumento di proselitismo. In tema di cyber-security è essenziale una stretta collaborazione tra istituzioni e piattaforme digitali che si sviluppi anche a livello comunitario.

Ma se è il tempo della responsabilità per le imprese Over The Top, è il tempo della responsabilità anche per gli utenti, in particolare i giovani e giovanissimi.

La Commissione per i diritti e i doveri in Internet, dopo aver elaborato una Dichiarazione che è anche diventata base per una mozione approvata all’unanimità dall’aula di Montecitorio, sta facendo da mesi una cosa inconsueta per una Commissione parlamentare: è uscita da Montecitorio ed insieme, deputati ed esperti, stanno andando nelle scuole per promuovere una cultura di responsabilità nell’utilizzo del digitale e anche per stimolare una cultura della verifica. Perché l’alfabetizzazione digitale è parte integrante della crescita della coscienza dei nostri giovani. Per questo con la Ministra Fedeli abbiamo deciso di lanciare un progetto di educazione civica digitale dall’inizio del prossimo anno scolastico. Molti i soggetti coinvolti: oltre a  famiglie e scuole, anche associazioni e corpi intermedi.

Parliamo di giovani, e allora fatemi chiudere questo mio saluto riferendomi ad una ragazza della quale vi parlai quattro anni fa, quando per la prima volta nella legislatura ospitammo la vostra relazione.

Si tratta di Carolina Picchio. Quattro fa anni fa si era tolta la vita da poche settimane: si era gettata dalla finestra perché non riusciva più a sostenere la ‘gogna’ in atto nei suoi confronti. Ascoltammo i genitori  in un convegno proprio qui alla Camera, e ci impegnammo a fare una legge. Abbiamo fatto quella legge sul cyberbullismo, che è stata anche frutto di una serie di passaggi tra Camera e Senato. è finalmente diventato legge. Una legge che prevede anche il coinvolgimento del lavoro dell’Autorità del Presidente Soro. Sapremo da lui come l’Autorità riuscirà a far fronte a questo ennesimo impegno.

Una legge che dedichiamo a Carolina, ai suoi genitori, e ai tanti ragazzi e ragazze che hanno imparato a loro spese che sulla rete ci si può fare veramente  molto male. Io spero che oggi questi ragazzi e ragazze, sapendo che c’è la legge, possano sentirsi meno soli, meno trascurati dagli adulti e dal legislatore. Vi ringrazio.