dott. Marco Massimini – Amministratore Unico e Project Manager di Privacy.it

Pubblicato in data 30-08-2017

Il mondo della distribuzione alimentare è uno di quei comparti che sono stati letteralmente trasfigurati dalla globalizzazione, dall’automazione e dalla digitalizzazione. Se qualcuno si svegliasse oggi dopo 20 anni di ibernazione, con una gran fame e con l’intento di andare a far la spesa, potrebbe trovarsi davvero disorientato. Alcuni elementi che erano divenuti tipici della nostra economia domestica, ma anche della nostra dimensione umana e sociale, sono stati rivoluzionati.

  • I negozietti di quartiere sono quasi scomparsi non potendo in alcun modo competere – in termini di logistica avanzata e di prezzi ribassati – con la filiera della GDO, la Grande Distribuzione Organizzata (e addio alle quattro chiacchere quotidiane con il lattaio e il panettiere). Oltre alla competitività dei prezzi, un ruolo importante lo hanno giocato – da un certo momento in poi – la comparsa delle fidelity card che hanno promesso a tutti regali e privilegi di valore in cambio di fedeltà e cessione di dati personali (un extra ben più invitante dello “sconticino” o della “fetta in più” saltuariamente omaggiata dal salumiere all’angolo). E senza nemmeno accorgercene ci siamo trasformati da affezionati acquirenti ad abbonati, ad iscritti veri e propri;
  • in alcune catene di supermercati i clienti fanno la spesa, da ormai un decennio, brandendo un lettore di codici a barre senza dover passare i prodotti alla cassa (motivo per cui le cassiere residue appaiono specie destinata all’estinzione: addio allo scambio di battute con loro, altro classico di cui almeno gli anziani non dovrebbero essere mai privati);
  • il trend successivo, reso possibile dalla connettività di massa, è stato quello di invitare il consumatore a non recarsi più fisicamente al supermercato: la spesa la si fa “con un click” da casa (e pazienza se non utilizziamo più i nostri sensi per tastare un avocado, annusare un branzino o valutare l’aspetto di un filetto di manzo). Il cittadino moderno si risparmia la scocciatura di dover “anche andare a fare la spesa”. La GDO è ancor più felice perché può accentrare magazzini, tagliare personale in punto vendita, e – non da ultimo – analizzare abitudini e consumi dei clienti (per ottimizzare la gestione globale, da un lato, e per fare marketing su profili accurati, dall’altro).

Il pesce grande (il supermercato) ha dunque mangiato il pesce piccolo (l’ortolano, il droghiere, etc.). Ma l’oceano dell’e-commerce è ormai abitato da creature gigantesche, dotate di voracità senza limiti, che esplorano ogni corrente e profondità in cerca di nuove prede; e in tempi recentissimi questi super-predatori sembrano aver messo nel mirino proprio la GDO per come la intendiamo oggi.

Amazon ha acquisito per la impressionante cifra di 13,7 miliardi di USD la catena di supermercati biologici Whole Foods Market. Una mossa che le consentirà di aggiungere al suo già eccezionale ventaglio d’offerta ciò di cui l’essere umano non può proprio fare a meno: l’alimentazione. La mossa appare – sulla carta – vincente, non solo perché Amazon da oggi può proporre cibo a centinaia di milioni di utenti già fidelizzati con tutta la forza della sua organizzazione logistica, ma anche perché insiste su alcuni punti che rappresentano carenze endemiche della proposta e-commerce della GDO:

  • si punta quasi tutto sul trend salutista, che è in continua ascesa, presentando un ingente assortimento di prodotti biologici e organici, tutti a filiera cortissima (i fornitori sono direttamente fattorie super selezionate). Chi può permetterselo, preferisce questi alimenti che sono più sani benché più cari. Ma la compagnia di Jeff Bezos ha, intelligentemente, già ribassato i prezzi di molti prodotti per dare un segnale forte a clienti e competitor.
  • il core business di Whole Foods è il fresco; più precisamente, frutta e verdura di qualità. Ossia, quella categoria merceologica che ha finora spinto anche l’online shopper abituale a fare ogni tanto un giro al supermercato (o all’ultimo sparuto ortofrutta di quartiere che per sopravvivere deve praticare prezzi da gioielliere) per esser certo di scegliere il meglio.

Ovviamente, Amazon sta già utilizzando i punti vendita per promuovere a prezzi scontati i propri prodotti, in particolare Amazon Echo e Amazon Dot al fine di introdurre nelle case dei clienti fisici del supermercato i propri hub di home automation con cui potrà veicolare una miriade di altri servizi in modalità smart. Considerati gli elementi in campo e l’armamentario a disposizione di Jeff Bezos & C., c’è da aspettarsi che la rivoluzione portata da Amazon nel mondo del commercio alimentare non si fermerà qui. Ad esempio, anche se questa è una nostra pura elucubrazione, potrebbe essere un giorno estesa in tutti i retailer Whole Foods la possibilità di fare acquisti senza nemmeno passare dalla cassa, come sperimentato nel negozio Amazon Go di Seattle per ora accessibile ai soli dipendenti locali della più grande Internet company al mondo.

Google non poteva restare a guardare e la risposta non si è fatta attendere. Pochi giorni fa ha stretto un accordo con la più grande catena di supermercati americana, Walmart (che finora vendeva prodotti online solo tramite il proprio sito web e che, a differenza di Whole Foods, punta prevalentemente su prodotti di largo consumo venduti a prezzi popolari). Il deal ha già prodotto un’innovazione di non poco conto: gli utenti del servizio di e-commerce a consegna rapida Google Express potranno ordinare centinaia di migliaia di prodotti Walmart semplicemente impartendo ordini vocali alla Google Assistant via smartphone o altro dispositivo Google Home. La grande rete distributiva di Walmart (5000 punti vendita negli USA, una media di soli 18 km di distanza da qualsiasi cittadino) garantirà la velocità della consegna.

Insomma, Amazon e Google si stanno già dando battaglia a colpi di acquisizioni, partnership e innovazioni in uno dei pochi ambiti di consumo (e che ambito…) che finora non li aveva visti particolari protagonisti. E per vincere la guerra daranno fondo a tutte le proprie capacità patrimoniali e creative, al punto che è difficile immaginare quali evoluzioni ci aspettano nel breve periodo. Sul campo potrebbero restare diverse vittime collaterali:

  • le catene che non riusciranno a stringere accordi con i due colossi rischieranno di essere tagliate fuori dal business dello shopping online (Amazon ha già brutalmente detronizzato innumerevoli competitor in molti altri settori);
  • potrebbero saltare migliaia di posti di lavoro non solo tra gli addetti della concorrenza soccombente ma fors’anche tra magazzinieri e addetti al rifornimento scaffali delle catene coinvolte se mai la logica robotizzata del cosiddetto magazzino 4.0 dovesse estendersi all’e-commerce alimentare;
  • possibile addio ad innumerevoli posti di lavoro nel comparto dei corrieri se mai il progetto di delivery “alla porta” via drone dovesse trovare applicazione su larga scala (si veda il progetto Amazon Prima Air).

In tutto questo, il consumatore digitale del domani che dovesse decidere di fare la spesa esclusivamente dal proprio divano tramite Amazon o Google dovrà fare i conti con un paio di conseguenze di cui forse non ha tenuto conto:

  1. dopo essersi tanto lamentato di non aver più tempo per sé stesso, sarà lieto che la fastidiosa incombenza di dover andare al supermercato sia stata eliminata dal progresso. Ma siamo sicuri che quell’incombenza non rappresentasse uno dei pochi e residui momenti di stacco dalla routine quotidiana (lavoro – controllatina ai social network – serie tv la sera)? Non è che perdiamo un pretesto per stare da soli, perderci tra i nostri pensieri davanti agli scaffali, o socializzare casualmente con esseri umani in carne ed ossa che non abbiamo mai incontrato prima?
  2. finalmente i due colossi potranno completare il nostro profilo di consumatori aggiungendo le nostre abitudini alimentari all’enorme mole di dati che già detengono. Ed è probabile che, per chiudere il cerchio, in futuro ci saranno offerti anche servizi sanitari e finanziamenti. A quel punto avremo consegnato (volontariamente) ad un oligopolio quasi tutta la nostra persona; gli algoritmi ci consiglieranno cosa comprare, cosa fare e cosa scegliere… perché Amazon e Google (a differenza dei nostri amici, veri o social, a cui raccontiamo un sacco di frottole) sanno chi siamo veramente, cosa ci piace, di cosa abbiamo bisogno. Ed è meglio non immaginare cosa ne sarebbe di noi e della nostra capacità di discernimento se un giorno i due pachidermi si fondessero tra loro e poi acquisissero Facebook …

PS. Non è da escludere che, sebbene sembri domotica da fantascienza, un domani poco lontano Alexa o Google Home faranno da soli la spesa del fresco. Connessi ad un frigorifero smart sapranno cosa manca tra le nostre preferenze abituali: da noi preventivamente autorizzati, procederanno all’acquisto senza interpellarci di volta in volta. Così non dovremmo nemmeno perdere minuti preziosi per scegliere e ordinare prodotti via tablet o smart assistant: un ulteriore risparmio di tempo. Ma cosa faremo di questo ulteriore gruzzoletto di minuti regalatoci dalla interazione tra i device appartenenti all’Internet of Things che ci siamo messi in casa? Lo spenderemo tornando subito online come presi da un senso di vuoto (dando, ad esempio, una sbirciata a news che avevamo già controllato 20 minuti prima)? O sapremo convertirlo in qualche momento realmente “offline” da dedicare a noi stessi e ai nostri cari?