Avv. Mariapaola Berlingieri - Consulente Privacy.it

Pubblicato in data 08-01-2018

Privacy dei minori e giornalismo. E’ questo il tema su cui si è di recente pronunciato il Tribunale di Milano, che, con una interessante sentenza del 22 novembre 2017, ha avuto modo di ribadire ed applicare al caso concreto alcuni importanti principi ormai consoldati nel nostro ordinamento ma, a quanto pare, nel quotidiano troppo spesso dimenticati.

La tutela dei dati personali soprattutto dei minori è argomento scottante, che trova fondamento negli artt.2 della Costituzione e 10 c.c., e su cui, oltre al Codice Privacy – D.lgs. 196/2003 – ed alla normativa comunitaria, si è da tempo espressa anche la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176), secondo cui in tutti gli atti relativi ai minori, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente (art. 3); nessun fanciullo può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, nè a lesioni illecite del suo onore e della sua reputazione; ogni fanciullo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o atteggiamenti lesivi (art. 16).

Il Tribunale di Milano, sez. I, con sentenza del 22 novembre 2017, ha ribadito gli strettissimi limiti imposti dalla normativa vigente alla divulgazione delle immagini di minori, le condizioni che le rendono utilizzabili e, argomento ancor più delicato in quanto relativo alla sfera non patrimoniale e dunque ancorato al principio dell’equità, quale sia il risarcimento del danno dovuto in caso di violazione di tale fondamentale diritto, ovverosia quanto vale il diritto alla privacy di un bambino.

I genitori di due minori hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti dai figli a causa della pubblicazione, non autorizzata, di una fotografia su una rivista.

Tale immagine, ritraente i due bambini intenti a giocare in una strada di un paesino calabrese, era inserita in un articolo sulle difficoltà incontrate dai sindaci a governare un territorio di ndrangheta, ed era accompagnata dalla didascalia “Normalità? Bambini giocano per le strade di un paesino calabrese, in una zona controllata dalla ndrangheta“.

La testata giornalisitica, nella propria difesa, sottolineava di avere pubblicato le fotografie per illustrare un articolo sul coraggio di taluni sindaci calabresi per garantire una normale amministrazione nel territorio, tanto che la foto illustrava proprio un episodio di vita quotidiana in un paesino non identificato, e sosteneva la liceità della pubblicazione ex art. 97 L. n. 633/1941, trattandosi di immagine scattata in luogo pubblico, per finalità informativo-descrittive, di pubblica informazione, senza uso di espressioni denigratorie. Negava, altresì, violazione della riservatezza, a fronte dell’essenzialità dell’informazione per fini di pubblico interesse: ed infatti, la pubblicazione era legata a fatti di cronaca, trattandosi di un reportage realizzato intorno al 2007, periodo in cui la faida di San Luca era sfociata nella strage del ristorante di Duisburg, ma relativo a contesti in cui la problematica permaneva. Sosteneva, ancora, che l’unico obbligo che la Carta di Treviso del 1990 pone in capo al giornalista è la responsabilità di valutare se la pubblicazione di una notizia sia contrastante con l’interesse oggettivo del minore, sicchè spettava solo al giornalista considerare le eventuali controindicazioni dell’associazione di immagini di minori ai contenuti dell’articolo in questione, se del caso ovviandovi con il semplice accorgimento tecnico dell’oscuramento del volto.

Nella propria motivazione, il Tribunale correttamente applica un fondamentale principio della normativa vigente, rilevando che anche l’immagine di una persona, in sè considerata, ed a maggior ragione quella di un minore, quando in qualche modo venga visualizzata o impressa, costituisce “dato personale” ai sensi del Codice Privacy, D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 4, lett. b).

Osserva il Giudice di merito che, ai  fini della pubblicazione del ritratto fotografico di una persona, è necessario, a norma dell’art. 96 della L. n. 633 del 1941, il suo consenso, seppure manifestato tacitamente, il quale può, come ogni altra forma di consenso, essere condizionato da limiti soggettivi (in relazione ai soggetti in favore dei quali è prestato) od oggettivi (in riferimento alle modalità di divulgazione). La mancanza del consenso alla pubblicazione dell’immagine porta a ricondurre la fattispecie a quella dell’illecito aquiliano ai sensi degli articoli 10 e 2043 del codice civile ed obbliga il soggetto che ha proceduto all’illecita pubblicazione al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Costituisce eccezione al principio enunciato quanto disposto dal successivo art. 97, secondo cui “non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata”.

Inoltre, osserva che alla tutela dei minori il Codice di deontologia dei giornalisti del 29/7/98 dedica l’art.7: “Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, nè fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione. 2. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. 3. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”.

Poiché per il codice deontologico, “il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca”, ne consegue una diversa gerarchia tra diritto di cronaca e diritto alla privacy: se il giornalista deve normalemnte trovare un contemperamento tra questi due diritti, nei casi riguardanti i minori viene stabilita una priorità netta, vale a dire che il diritto all’anonimato deve essere sempre anteposto al diritto di cronaca.

Anche se la pubblicazione di immagini di minori, infatti, non comporta sempre di per sé un danno per lo sviluppo della loro personalità, anche la diffusione di immagini di gioco (di per sé non lesive della personalità del minore) può avere un effetto traumatico sul  processo di maturazione, ove, come nel caso di specie, si svolgano in luogo del quale l’immagine sottolinea il degrado ed a corredo di un articolo nel quale la normalità viene definita “eroica”, in un ambiente economico-sociale pressoché totalmente in mano alla criminalità organizzata. L’immagine, secondo la sentenza, trasmette il messaggio di una triste crescita dei minori in luoghi urbanisticamente degradati e socialmente pervasi dalla criminalità organizzata.

Inoltre, secondo la sentenza, non rilevava alcun interesse pubblico all’informazione, trattandosi di immagini di repertorio del tutto prive di efficacia ai fini della illustrazione della notizia e dell’articolo.

Sarebbe stato, pertanto, indispensabile operare quel bilanciamento di interessi contrapposti imposto dalla normativa nazionale ed internazionale, con l’unica possibilità, ai fini della liceità della pubblicazione, nel caso in cui la fotografia fosse stata ritenuta davero utile ai fini del diritto di cronaca, di rendere in essa totalmente non identificabili i  minori, tramite oscuramento dei volti ovvero tramite altro accogimento che rendesse impossible, anche nel contesto della piccola comunità locale, riconoscere i due bambini.

In applicazione dei principi tutti sopra richiamati, pacificamente vigenti nel nostro ordinamento, l’editore è stato ritenuto responsabile della violazione dei diritti della personalità dei due minori, sotto il profilo del diritto all’immagine, alla riservatezza ed alla loro serena maturazione.

Ciò che ancora interessa, ai fini della novità della pronuncia, è comprendere quale sia stato l’iter logico giuridico che ha portato alla quantificazione del danno patito da risarcire.

In applicazione di quanto disposto dagli artt. 10 c.c. e 15 D.Lgs. n. 196 del 2003, l’autore della illecita pubblicazione dell’immagine è tenuto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Ritiene il Tribunale che i danni patrimoniale debbano essere principalmente determinati secondo il cd. “prezzo del consenso”, indicante la somma che il soggetto ritratto – rappresentato dai genitori esercenti la potestà sul minore – avrebbe potuto ottenere quale corrispettivo della volontaria concessione a terzi del diritto di pubblicare la propria fotografia (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 1/9/08, n. 21995; Cass. Civ. Sez. 1, 16/5/08, n. 12433).

Del tutto opporrtunamente, il Giudice ha richiamato, sul punto, la preesistente giurisprudenza del  Tribunale di Milano, che afferma che in tutti i casi in cui si ritenga sussistere una lesione del diritto dell’immagine e della riservatezza del minore, ci si trova di fronte ad una situazione non negoziabile, neanche in astratto.

Non esiste, in altri termini, un corrispettivo lecitamente percepibile in cambio della pubblicazione.

Ed infatti, neanche in presenza dell’eventuale consenso alla pubblicazione prestato dall’esercente la potestà sul minore, la pubblicazione sarebbe risultata lecita, non essendo comprimibile il diritto del bambino alla serenità della sua crescita.

Conseguentemente, il Tribunale di Milano ha correttamente ritenuto che, nel caso in esame, doveva ritenersi integrata esclusivamente una lesione attinente ai diritti di immagine e di riservatezza di natura non patrimoniale, da liquidarsi in via equitativa.

Gli elementi presi in considerazione sono stati l’assenza di elementi potenzialmente lesivi dell’onore e del decoro degli interessati, la mancata identificazione di particolari tali da condurre il più ampio pubblico all’identificazione dei minori e, soprattutto, il messaggio di assoluta anormalità in negativo del loro contesto di crescita e formazione della personalità.

In considerazione di tali elementi, il Tribunale ha quantificato il danno patito da ciascun minore in Euro 5.000,00, oltre interessi.