I direttori delle sei principali agenzie di intelligence (tra cui FBI, CIA, NSA), durante un’audizione tenutasi martedì scorso davanti alla Commissione Intelligence del Senato americano, hanno espresso una raccomandazione piuttosto decisa: i cittadini statunitensi dovrebbero evitare l’utilizzo di prodotti e servizi tecnologici provenienti dalla Cina perché costituiscono una minaccia per privacy, sicurezza nazionale e segreti industriali a stelle e strisce. Il board non ha lesinato espressi riferimenti a Huawei e ZTE.
Tenuto conto che Huawei dal 2017 ha superato Apple nel numero di vendite attestandosi come secondo produttore mondiale (dietro Samsung) e che ZTE occupa il quinto posto, l’invito al boicottaggio espresso dalle agencies potrebbe non solo aver serie ripercussioni commerciali per i due colossi del mobile ma anche alzare la tensione nei rapporti diplomatici tra Washington e Pechino.
Oltre-muraglia avranno ben notato il contesto in cui queste dichiarazioni sono state rese. L’Intelligence Community si era recata al gran completo davanti alla Commissione del Senato per presentare il Worldwide Threat Assessment (consultabile qui), il report delle minacce globali che incombono su cittadini ed interessi USA. Di fatto, lo spettro della penetrazione commerciale e tecnologica cinese è considerata una minaccia tanto quanto le attività terroristiche dell’ISIS o i progetti nucleari nord-coreani.
Huawei e ZTE sono accusate di intrattenere stretti rapporti con il governo cinese: si è parlato di “state of influence”, quasi quest’ultimo fosse azionista occulto di maggioranza. Un convincimento che sta da tempo allertando gli USA, ormai certi che Pechino utilizzi i dispositivi mobili venduti a pubbliche amministrazioni e cittadini come strumento di infiltrazione se non anche di spionaggio.
Nel gennaio scorso al Congresso è stata presentata una proposta di legge per impedire al governo e alle pubbliche amministrazioni USA di dotarsi di tecnologie made in China: la presentazione del Defending U.S. Government Communications Act – di nome e di fatto in totale armonia con il claim elettorale di Trump “America First” – può essere l’incipit di una guerra fredda digitale tra le attuali superpotenze.
Sempre nel mese passato, si è registrato un altro intervento all’insegna del protezionismo anti-cinese. Il governo americano ha fatto saltare l’accordo tra Huawei ed AT&T per la (ormai imminente) distribuzione del nuovo Mate 10 Pro sul mercato americano in joint-venture con la rete 5G del carrier americano. Le pressioni esercitate da Washington sul provider di rete sono, ancora una volta, motivate dalla volontà di impedire alla Cina di infiltrarsi nel mercato USA con tecnologie in grado di carpire informazioni private o strategiche.
Nell’audizione di martedì, il capo del FBI Chris Wary è stato chiaro: “Siamo profondamente preoccupati del rischio che qualsiasi compagnia o entità legata a governi stranieri che non condividono i nostri valori possa guadagnare posizioni di potere all’interno della nostra rete di telecomunicazioni”.
In conclusione, i cittadini americani sono ora avvisati: comprare device mobili cinesi, mette a repentaglio gli individui e la nazione perché dentro i dispositivi c’è l’orecchio digitale della Repubblica Popolare in ascolto. Peccato che una simile avvertenza non sia stata resa in altre occasioni, magari quando ad ascoltare comunicazioni private c’era un orecchio a stelle e strisce: ad esempio, quando la stessa Intelligence Community – specie tramite il Prism Project della National Security Agency – si mise per ben 6 anni ad intercettare di nascosto le comunicazioni dei cittadini esteri (ma anche degli americani che con questi interloquivano) e dei governi stranieri con la – più o meno forzata – collaborazione delle americanissime Google, Facebook, Microsoft, Skype, Apple, Yahoo, AOL. Ad avvisare il pubblico ci pensò Edward Snowden.