Bufera sul tribunale di Venezia. Il 6 marzo scorso il Presidente del Tribunale e l’Ordine degli Avvocati hanno firmato il Protocollo di Gestione del Contenzioso innanzi alla Sezione Immigrazione. Secondo le toghe di Magistratura Democratica, i Giuristi Democratici, i membri dell’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e un’altra trentina di avvocati veneti che si occupano dei richiedenti asilo e protezione internazionale, il Protocollo è fortemente discriminatorio ed è, inoltre, lesivo del diritto alla privacy dei profughi.

Il 19 marzo scorso, congiuntamente a Giuristi Democratici, l’ASGI ha inviato una lettera al Presidente del Tribunale e al Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Venezia lamentando la mancata condivisione dei contenuti con tutte le figure interessate. Contenuti che – si contesta – contengono misure fortemente discriminatorie che operano una “gravissima lesione del diritto alla difesa ”.

Sono diversi i punti criticati. Il più eclatante, in termini di diritto alla giusta difesa, pare essere l’esclusione della partecipazione dell’avvocato all’udienza di comparizione del ricorrente davanti al giudice che – ad avviso dell’ASGI – costituisce una violazione del Codice di Procedura Civile e del dovere professionale afferente la corretta esecuzione del mandato difensivo.

Come detto, si contesta anche una disposizione ritenuta lesiva del diritto alla privacy degli interessati. Il punto 7 del nuovo Protocollo impone agli avvocati difensori dei migranti di comunicare al giudice eventuali malattie infettive del proprio assistito e richiede la produzione di un certificato medico che attesti l’assenza di pericolo di contagio. Una misura che non esiste in nessun altro procedimento giudiziario.

Sul punto il Presidente di Magistratura Democratica ha reso esplicitamente il suo pensiero, evidenziando quelle che, a suo avviso, sono violazioni del Codice Privacy: “L’obbligo per l’avvocato di rivelare dati ultra sensibili relativi al suo cliente, poi, lede il diritto alla riservatezza e la dignità della parte, e viola platealmente la normativa italiana sancita dal Codice in materia di protezione dei dati personali. Si tratta, infatti, di dati sensibili il cui trattamento e diffusione non è di regola consentito, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante. Anche a volere fare rientrare tale trattamento (del che sinceramente si dubita) nell’ipotesi di salvaguardia dell’incolumità fisica di un terzo sarebbe, comunque, necessaria l’autorizzazione preventiva del Garante della Privacy ”.

Il Presidente chiosa: “Nessuno penserebbe mai di chiedere simile certificazione medica alle parti di qualsiasi altro procedimento giudiziario, dimenticando, tra l’altro che i richiedenti sono soggetti a stringenti controlli medici sia al loro arrivo che nei centri di accoglienza ”.