Chi usa i social network per esibire aspetti – più o meno selezionati – della propria vita privata deve fronteggiare un’ovvia quanto sostanziosa compressione delle proprie aspettative di privacy. Le informazioni (immagini, commenti, Like, etc.) rilasciate sulle pagine del proprio diario digitale sono accessibili non solo ad amici e colleghi, ma anche all’ex coniuge, al suo l’avvocato ed al giudice da questi eventualmente adito per veder tutelati i propri diritti.
Il tribunale di La Spezia ha revocato – stando a quanto riportato dal Secolo XIX – l’assegno divorzile ad una donna che tramite il proprio profilo Facebook mostrava di aver trovato un nuovo compagno e, con esso, un tenore di vita ben diverso da quello precedente.
L’ex marito – seguendo la pagina social in questione – aveva notato che negli ultimi mesi la donna ostentava (fors’anche in una sorta di rivincita sociale) la relazione con un nuovo partner ed una serie di immagini (alcune delle quali in compagnia della figlia) che testimoniavano un tenore di vita ben superiore a quello che aveva a suo tempo giustificato il riconoscimento del diritto a percepire un determinato assegno divorzile. Il giudice ha riconosciuto il mutamento di scenario e, quindi, revocato tali benefici economici. La decisione ha anche considerato come alcune pubblicazioni social della donna abbiano attestato il mutamento di una condizione indispensabile per continuare a percepire gli alimenti, ossia la permanenza nella casa spezzina in cui ella ha residenza; i post sul profilo Facebook dimostravano che ella si era trasferita da tempo a casa del nuovo compagno.
Non è la prima volta che il “narcisismo” social si ripercuote in contesti di separazione o divorzio. Nel 2016 – vedi qui su La Nazione – alcune foto disinibite e commenti osè pubblicate su Facebook da una madre cinquantenne costarono a questa l’addebito del divorzio perché il tribunale di Prato ritenne tali attegiamenti incompatibili con il presunto stato di “moglie vessata e sofferente”.
E non è la prima volta che mogli e madri debbano fronteggiare le conseguenze giuridiche delle proprie condotte social, come – ad esempio – quando la giustizia censura la pubblicazione delle immagini dei propri figli minorenni contro la volontà del marito (qui un paio di casi recenti).
Insomma, se è vero che ci sono mariti che ne combinano di tutti i colori sui propri social, pare che le mogli non siano da meno. E in troppi/e dimenticano che una pagina Facebook è una fonte di prove immediatamente e costantemente disponibile cui il coniuge (o ex) può in qualche modo attingere senza troppi patemi di privacy non avendo la pagina social lo stesso crisma di segretezza delle corrispondenze elettroniche quali sms, chat (anche FB messenger), e-mail.