Che i giant tech statunitensi abbiano provato a convincere il legislatore europeo a emanare il Regolamento che – con la sua pubblicazione nel 2016 – avrebbe riformato il framwork della normativa sulla protezione dei dati personali, è una notizia che non dovrebbe sorprendere nessuno. I lavori preliminari avevano fin da principio reso chiaro che il Regolamento (che poi avrebbe preso il nome di Regolamento UE 2016/679, altrimenti noto come GDPR) avrebbe:
- incrementato gli obblighi a carico di chi tratta dati personali;
- innalzato sensibilmente le sanzioni in caso di violazione dei vincoli;
- costretto i colossi americani che vogliano continuare ad offrire servizi ai cittadini europei ad applicare la normativa e, dunque, a soggiacere al potere sanzionatorio delle autorità di controllo del vecchio continente.
Preso atto che le nuove regole impostate dalla UE avrebbero pesantemente condizionato i business model sviluppati in un contesto assai meno stringente dal punto di vista della data protection (come quello degli USA), i colossi d’oltreoceano si sono mossi cercando di preservare la propria libertà d’azione in riferimento all’utilizzo – per finalità e con modalità non sempre esplicite – dei dati rilasciati dagli utenti sulle loro piattaforme online. Hanno cercato di far valere le proprie ragioni e i propri interessi, dichiarando in alcuni casi pubblicamente le proprie ragioni contrarie e parallelamente – come da prassi ampliamente invalsa negli Stati Uniti – avviando attività di lobbying per influenzare i decisori a proprio favore.
Il 2 marzo scorso Computer Weekly e The Observer hanno rivelato di essere entrati in possesso di un documento interno di Facebook (classificato come “altamente confidenziale”) risalente al gennaio 2013 stilato da Marne Levine, l’allora vice-presidente della Global Public Policy del social di Menlo Park. Il report di 14 pagine riassume le attività svolte dalla delegazione di Facebook durante il World Economic Forum tenutosi pochi giorni prima a Davos, proprio nel periodo in cui la prima stesura del GDPR era al centro dell’agenda europea.
Il documento attesta come la delegazione Facebook abbia preso contatto con 9 alti esponenti della politica UE cercando di cogliere possibilità per influenzarli e talora – apparentemente – trovando disponibilità all’ascolto grazie a proposte di vario genere (dal finanziamento di progetti per finire alle promesse di favori ai figli dei politici).
Per maggiori dettagli, vi rinviamo – oltre che alle rivelazioni di Computer Weekly e The Observer – all’odierno articolo di Repubblica, riuscita anch’essa a visionare il documento classificato.