In un articolo risalente al marzo 2015 commentammo le meraviglie tecnologiche dello Henn-Na Hotel di Nagasaki, il primo hotel a conduzione prevalentemente robotica, un modello per quella che potrebbe essere l’evoluzione fisiologica – o meglio, automatizzata – del business dell’ospitalità alberghiera: automi che sostituiscono il personale in qualità di receptionist, guardarobieri e facchini, sistemi di riconoscimento facciale anche per aprire/chiudere le stanze, sensori che interagiscono con la corporeità dell’ospite per ottimizzare climatizzazione e illuminazione, nessuna interazione umana per ottenere servizi in camera. Il management dello Henn-Na Hotel in un’intervista alla CNN affermava ai tempi che presto il 90% del personale sarebbe divenuto robotico e che numerosi altri hotel connotati dalle medesime feature si sarebbero aggiunti alla catena (ed, effettivamente, a soli tre anni di distanza, se ne contano ormai una decina sempre sul suolo nipponico e a breve altri apriranno i battenti – specie a Tokio – in vista delle Olimpiadi dell’anno venturo. L’intenzione del gruppo è di arrivare a 100 nuovi hotel entro il 2021).

Per deformazione professionale, segnalammo le implicazioni e le inquietudini di data protection inevitabilmente sottese ad un così drastico affidamento alle IoT di un rapporto di accoglienza tradizionalmente imperniato sul fattore umano e sul rispetto della riservatezza. Un hotel automatizzato può processare e custodire una miriade di dati personali, alcuni dei quali estremamente delicati; ed ogni automa o applicazione può potenzialmente costituire un punto di accesso per prelevare queste informazioni o per spiare clienti che, in un contesto del genere, hanno un’aspettativa di privacy financo superiore a quella domestica.

Poche settimane orsono, riferendosi in specie al Henn-Na Hotel ubicato nei pressi di Tokyo Disneyland, un ingegnere informatico ha rivelato tramite un post su Twitter che gli oltre 100 simpatici robottini che condividono le camere con i clienti in qualità di assistenti personali sono altamente vulnerabili: qualsiasi soggetto dotato un minimo di abilità potrebbe sfruttare una sorta di backdoor ed agevolmente prendere il comando degli automi per poi, ad esempio, attivarne da remoto la telecamera o il microfono senza che nessuno se ne accorga. In pratica, un cliente un minimamente confidente con la tecnologia potrebbe in poche mosse “arruolare” il robottino e spiare gli ospiti che in futuro alloggeranno nella medesima camera.

Responsabilmente, ad inizio luglio scorso l’esperto di cyberscurity – che risponde al nome di Lance Vick – aveva privatamente informato il produttore del device ed il gruppo alberghiero riferendo i dettagli della grave vulnerabilità. Davanti all’inerzia (circa 3 mesi senza porvi rimedio), il 12 ottobre scorso Vick ha deciso di rendere pubblica la questione per costringere il management a darsi una mossa. Il tweet ha prodotto gli effetti sperati. Il 22 ottobre lH.I.S. Group – che possiede la catena alberghiera – ha annunciato di aver aggiornato il software dei robottini con tanto di pubbliche scuse per non aver rilevato autonomamente il problema e per aver sottovalutato la segnalazione di un estraneo benefattore.

La catena Henn-Na dal 2015 ha dovuto fronteggiare altri problemi legati alla propria rivoluzione robotica. I clienti nel tempo si sono lamentati circa:

  • gli addetti al fornt desk non sanno rispondere a domande basiche;
  • gli impiegati al check-in non comprendono i dati anagrafici dell’ospite e non riescono a registrarlo (specialmente, non ci riuscivano quelli di uno specifico hotel tematico che avevano sembianze da dinosauro anziché umane. Il che avrebbe in qualche modo un senso…);
  • i bell-boy che non svolgono con efficienza la consegna dei bagagli;
  • l’assistente di camera che scambia il russare dell’ospite con un comando vocale, svegliandolo per chiedere istruzioni più chiare;

Oltre a ciò, molti robot vanno in crash richiedendo così alti costi in termini di intervento umano. Lo Henn-Na di Nagasaki (il primo ad aprire nel 2015) ad inzio 2019 ha “licenziato” più della metà dei propri 243 automi sostituendoli con impiegati in carne ed ossa.