Smentendo le rassicurazioni iniziali, per l’esecutivo di Singapore i dati centralizzati del programma TraceTogether sono utilizzabili per finalità anticrimine
Sui social già da ore si levano le voci cittadini di Singapore che gridano al tradimento dopo che ieri il ministro degli affari interni ha riferito davanti al proprio parlamento che i dati scaturenti dall’utilizzo di tecnologie di Covid contact tracing saranno accessibili alle forze dell’ordine nell’ambito delle investigazioni penali. Un brutto colpo per la fiducia dei residenti nella pubblica amministrazione. E un monito per tutti coloro che ritengono la privacy solo un impiccio che ostacola il progresso.
Come noto, Singapore è una realtà socio-politica che presenta sfaccettature controverse. L’ex protettorato britannico, per secoli crocevia di floride rotte navali, è oggi una Città/Stato multi-etnica ed aperta alla libertà di culto. Si regge su una repubblica parlamentare considerata fra le più efficienti nella Regione dell’Asia-Pacifico che consente all’isola di intrattenere rapporti commerciali e soprattutto finanziari con gli Stati più ricchi del pianeta grazie ad un ibrido economico (una sorta di liberismo accompagnato da un ingente intervento statale) che conferisce un sistema di regole chiaro, trasparente e vantaggioso. Altrettanto notoriamente, la governance non brilla quanto a rispetto dei diritti fondamentali della persona: al netto della persistente vigenza della pena capitale e alla severità dell’apparato di repressione dei reati, l’ordinamento è incline alla limitazione di alcuni diritti individuali come quello alla libertà di espressione (vedasi, ad esempio, l’uso distorto della nuova legge anti fake-news) e alla sorveglianza di massa per quello che talora è definito un “autoritarsimo soft” o una “democrazia controllata”.
Pur a fronte di ciò, la popolazione del piccolo e florido Stato asiatico aveva ricevuto esplicite garanzie sul fatto che le tecnologie del programma TraceTogether per il contenimento della pandemia di Covid-19 sarebbero state utilizzate esclusivamente per finalità di tutela della salute in un contesto regolamentare di privacy che non può definirsi misero perché disciplinato in modo articolato con normative dedicate sia al settore privato (Personal Data Protection Act del 2012 rivisto nel 2020) che al comparto pubblico (tra cui spicca il Public Sector Governance Act del 2018) sulla cui corretta applicazione vigila un’apposita Personal Data Protection Commission. L’insieme rassicurante di questi fattori ha contribuito non poco al raggiungimento di uno dei più elevati tassi di adesione ad ogni latitudine per quanto riguarda il monitoraggio dei contatti: tra le prime ad essere introdotte poiché rilasciata nel marzo 2020, l’app di TraceTogether – che, a differenza della nostra Immuni, è centralizzata e comporta la geolocalizzazione dell’utente – è stata presto scaricata dalla maggioranza dei residenti e, tenendo conto che l’applicazione è affiancata da aprile 2020 da un token fisico rilasciato a coloro che non vogliono usare uno smartphone o non lo possiedono, oggi ammonta all’80% la quota di abitanti si è resa disponibile al tracciamento anche perché il sistema è indispensabile ad accedere liberamente ad alcune aree (come supermercati o uffici). Un simile livello di partecipazione ha sicuramente contribuito al conseguimento di ottimi risultati nella lotta al coronavirus, ma da ieri si teme che il prezzo da pagare in termini di compressione delle libertà personali sia di gran lunga maggiore rispetto a quello inizialmente prospettato.
Lo statement pubblicato nella pagina TraceTogether Privacy Safeguards fino a pochi giorni fa recitava: “the data will never be accessed, unless the user tests positive for Covid-19 and is contacted by the contact tracing team“. Il 4 gennaio scorso, in contemporanea con le dichiarazioni rese dal ministro nell’aula parlamentare, il testo è stato modficiato con un nuovo passaggio che chiarisce come il codice di procedura penale si applichi a tutti i dati soggiacenti alla giurisdizione di Singapore: “Also, we want to be transparent with you. TraceTogether data may be used in circumstances where citizen safety and security is or has been affected. Authorised Police officers may invoke Criminal Procedure Code (CPC) powers to request users to upload their TraceTogether data for criminal investigations. The Singapore Police Force is empowered under the CPC to obtain any data, including TraceTogether data, for criminal investigations.”.
Il governo si è affrettato a rassicurare che i dati saranno accessibili solo a fronte di una questione di rilevanza penale, che le autorità già accedono in tali casi ai dati bancari o telefonici, che sono previste gravi sanzioni per i funzionari che dovessero divulgare informazioni riservate, e che i dati torneranno indisponibili a fine emergenza. Ma il dado è tratto:: la polizia potrà accedere a un database che fu – nero su bianco – garantito alla popolazione sarebbe rimasto impermeabile a qualsiasi istanza governativa che non fosse legata alla gestione della pandemia. E l’autoritarismo singaporiano da oggi vanta un ulteriore strumento di controllo interfacciabile con gli altri potenzialmente invasivi già a disposizione dell’esecutivo (tra cui un nuovo sistema di identità basato sul riconoscimento facciale).
E’ chiaro che non si può paragonare una democrazia europea con le sue prudenti movenze elefantiache ad una “tigre asiatica”, ma questa vicenda ci insegna, ancora una volta, che quando si introducono – seppur per motivi anche legittimi, tanto più se emergenziali – sistemi in grado di controllare su larga scala la popolazione occorre sempre considerarne le possibili ricadute e degenerazioni al di là di quelle che possono essere le garanzie di facciata o gli intenti iniziali.
Sollevare questioni preventive di data protection è, come qui già sottolineato, troppo spesso considerata una perdita di tempo o un intralcio all’efficacia di una contromisura ritenuta urgente. Ma il vaglio ponderato non è mai inutile se inteso a prevenire derive che possono polverizzare in modo irreversibile quote di libertà faticosamente guadagnate nel tempo dalla nostra civiltà.
Ci sono soluzioni che possono garantire il raggiungimento di un risultato di pubblica utilità pur senza dover dismettere o fortemente penalizzare diritti fondamentali come la privacy individuale (nel contact tracing, ad esempio, la decentralizzazione, l’anonimizzazione, l’assenza di geolocalizzazione, ed altro ancora). Simili precauzioni andranno vagliate davanti alle nuove sfide, come quelle legate alle crescenti istanze per un maggior ricorso all’intelligenza artificiale o al riconoscimento facciale per finalità di pubblica sicurezza.
Prima di varcare determinate soglie è indispensabile, in una società pienamente democratica, considerare quali opzioni possano “by design” impedire che una – foss’anche remota ed eventuale – deriva autoritaria possa fruire di strumenti pervarsivi di controllo della popolazione.