L’iper-connettività ha rivoluzionato in pochi lustri il modo in cui si svolgono le dinamiche socio-economiche sul nostro pianeta. In questo scenario, i social network hanno guidato il cambiamento andando a riformulare profondamente gli schemi e gli strumenti con cui gli individui possono sviluppare la propria vita relazionale e professionale. Ormai i social sono ormai utilizzati ai quattro angoli della terra: anche nei paesi più poveri o sfortunati ci sono moltitudini di adolescenti, di universitari, di impiegati statali, di professionisti, e di semplici cittadini che condividono foto, pensieri, gusti, attitudini, esperienze, attività e relazioni tramite una serie di click il cui flow va nel tempo a costruire una biografia in grado di rappresentare con elevata accuratezza la personalità e la storia di un utente agli occhi dei terzi. Ma non sempre lo sguardo di chi scruta è benevolo.

In Occidente ne abbiamo una qualche consapevolezza perché – oltre che alla profilazione per finalità di targeted marketing – è noto ai più che le informazioni rilasciate sui social possono talora prestarsi ad un uso anche criminale da parte di individui abietti (ad esempio, un pedofilo che si insinua nella vita reale di un minorenne adocchiato ed avvicinato online) o di organizzazioni intente a manipolare l’orientamento delle masse (anche in tema di orientamenti politici, come nel noto caso Cambridge Analytica).

Quel che noi fatichiamo a ben rappresentare nel nostro immaginario quotidiano è che la massa di informazioni personali ospitate sul web potrebbe un giorno essere utilizzata da un regime non democratico. Eppure in USA e UE abbiamo bisnonni o nonni che sono stati uccisi, discriminati o internati in lager o gulag in ragione della loro razza, del loro orientamento sessuale o del loro pensiero politico, e abbiamo in vita un’importante quota di popolazione tedesca la cui esistenza è stata impietosamente spiata dalla STASI fino a qualche decennio fa.

Non c’è un governo assoluto, totalitario od integralista che, una volta guadagnato il potere, non abbia desiderato reperire nel modo più agevole e rapido possibile tutte le informazioni sulla propria popolazione di modo da poter individuare e reprimere qualsiasi forma di dissenso o dissidenza. Nel passato, una simile attività di intelligence avrebbe quantomeno comportato un ingente dispiego di risorse umane e di tempo. Oggi che le informazioni disponibili si sono moltiplicate in modo esponenziale e trasformate in dati digitali liberamente consultabili online o acquistabili nel dark web, il paradigma – sempre che riusciamo a figurarlo nella nostra mente – è semplicemente spaventoso.

Questo scenario ora potrebbe riguardare una buona parte del popolo afgano. Nel loro primo quinquennio al potere (tra il 1996 e il 2001), i talebani consideravano Internet qualcosa da bandire alle masse per reprimere la libertà di espressione e non certo uno strumento per esercitare il potere (al netto di qualche video propagandistico). Oggi il regime si presenta in una versione 2.0 e, mantenendo la rigidità sull’utilizzo pubblico del web, pare pronto a setacciare tutte le risorse digitali del passato per applicare le proprie leggi e regole morali. Una foto in abbigliamento poco pudico o in atteggiamento libero su un profilo Instagram, un Like ad un cantante locale troppo “occidentalizzato” su Facebook, un commento positivo ad un Tweet di un esponente democratico, una disponibilità su LinkedIn a lavorare come traduttore o per un’associazione per i diritti delle donne: sono solo alcuni degli esempi di tracce digitali che potrebbero attirare l’attenzione del regime talebano che, appena riguadagnato il potere, pare alla ricerca di concittadini afgani da inserire nella black list delle persone da convertire a forza, punire o sopprimere.

Che la situazione anche su questo versante sia molto seria, lo testimonia anche il fatto che alcuni giorni fa la ex capitana della nazionale femminile di calcio aveva invitato le componenti del team a bruciare le proprie divise e a cancellare ogni foto e traccia online, a sparire in ogni modo possibile. La donna che per anni si era impegnata a diffondere la cultura del fooball femminile “To build networks, build connections, build self-confidence. To breathe. To be happy.”, da un giorno con l’altro si è trovata a chiedere alle giovani sportive di rinnegare quello in cui avevano creduto (nel frattempo 75 tra giocatrici, staff e familiare sono riusciti ad imbarcarsi su un volo per l’Australia).

Se sei uno user afgano, ci sono diversi modi in cui i talebani potrebbero scoprire informazioni su di te: le informazioni memorizzate sul tuo dispositivo o su quello dei i tuoi contatti (i messaggi che hai scambiato potrebbero essere sui loro telefoni o pc), i servizi cloud che usi e i dati che si muovono tra questi servizi assoggettabili ad intercettazione. In questi casi c’è un qualche margine per l’intervento individuale. Ma ci sono le foto e i video in cui la gente è stata coinvolta, anche inconsapevolmente, che non può controllare e che può indicare in un solo frame identità, orientamenti, relazioni e recente localizzazione di una persona.

Per aiutare le persone in difficoltà, nei giorni scorsi le principali piattaforme social – quali Facebook, Twitter, Instagram e LinkedIn –  hanno avviato, come riportato dal Jerusalem Post, una serie di misure per consentire alla popolazione afgana di correre al riparo da potenziali persecuzioni e ritorsioni nell’incerto futuro della nazione. I talebani potrebbero infatti analizzare le storie digitali e le connessioni social a fini repressivi, aggiungendo così nuovi target a quelli già in palese pericolo – che paiono già oggetto di ricerca porta a porta – per via del ruolo pubblico ricoperto prima del rovescio militare (amministratori e militari del precedente governo, giornalisti, accademici, attivisti di diritti umani, etc.).

Twitter Inc si è messa presto in contatto con i partner della società civile per fornire supporto e si è messa al lavoro con l’Internet Archive (al biblioteca virtuale che esegue snapshot di ogni pagina web) per accelerare le richieste dirette a rimuovere i tweet archiviati.

Facebook, che possiede WhatsApp, ha annunciato nuove funzioni di sicurezza giovedì per gli utenti afgani, tra cui un pulsante per bloccare rapidamente un account, che impedisce alle persone che non sono già amici degli utenti di scaricare la loro foto del profilo o vedere i loro messaggi. Nathaniel Gleitcher, capo della sicurezza di Facebook, ha condiviso la notizia su Twitter. “Abbiamo anche temporaneamente rimosso la possibilità di visualizzare e cercare la lista ‘Amici’ per gli account Facebook in Afghanistan per aiutare a proteggere le persone dall’essere prese di mira“, ha detto Gleitcher.

Un portavoce di LinkedIn ha detto che la piattaforma di networking professionale ha temporaneamente nascosto le connessioni dei suoi utenti in Afghanistan in modo che altri utenti non siano in grado di vederle.

L’associazione di cybersicurezza OPCDE ha rilasciato una checklist di azioni “to stay safe online” che invita, tra le altre cose, a segretare informazioni su Whatsapp e Messenger e a procurarsi un VPN nel caso il regime preveda il blocco delle connessioni a siti e app. Human Rights First ha pubblicato una guida “How to delete your digital history” con tanto di preziose traduzioni in lingue Pashto e Dari.

Gli operatori dei diritti umani fuori dall’Afghanistan hanno approntato call center per aiutare i cittadini afgani a proteggere le loro identità digitali e i loro dati, compreso ciò che è memorizzato sui loro telefoni e pagine di social media, e rimuovere rapidamente informazioni e collegamenti a persone che potrebbero metterli in pericolo sotto il dominio talebano.

C’è chi ha cancellato non solo i propri profili social ma anche la propria posta in Gmail o Yahoo nonché disinstallato qualsiasi app a partire da Skype e qualsiasi altro strumento di networking dai propri dispositivi mobili o formattato la memoria del proprio computer rinunciando per sempre a foto e documenti di una vita. Perdere qualsiasi memoria digitale di sé nella speranza di far perdere le proprie tracce in una life-or-death situation.