Dalla Newsletter del Garante del 22/07/2019
Il diritto all’oblio può essere invocato – in casi particolari – anche partendo da dati presenti sul web che non siano il nome e il cognome dell’interessato, nel caso in cui essi lo rendano comunque identificabile, anche in via indiretta.
E’ il principio che ha fissato il Garante decidendo sul reclamo di un professionista che aveva richiesto invano a Google la deindicizzazione di una Url che risultava reperibile on line digitando non il proprio nome, ma il riferimento alla sua qualifica di presidente di una determinata cooperativa.
La Url faceva riferimento ad una notizia non più attuale e non aggiornata, relativa ad un rinvio a giudizio avvenuto dieci anni prima, riguardo al quale era poi però intervenuta una sentenza definitiva di assoluzione. La permanenza in rete della notizia rappresentava, ad avviso dell’interessato, un gravissimo e irreparabile pregiudizio alla propria reputazione.
Alla richiesta dell’interessato di rimuovere l’Url contestata, Google aveva opposto rifiuto sostenendo che fosse inammissibile una richiesta di deindicizzazione per chiavi di ricerca che non includono il nome e il cognome di una persona fisica, sulla base di quelli che riteneva essere i principi fissati dalla Corte di Giustizia dell’Ue nella Sentenza “Google Spain”. L’interessato si era dunque rivolto al Garante, non senza aver prima tentato, anche qui invano, di far rimuovere la Url dal sito sul quale era stato pubblicato l’articolo.
Diversamente da Google, l’Autorità – in tale specifica circostanza – ha ritenuto fondata la richiesta del professionista. Il Garante – sulla base del Regolamento europeo che definisce dato personale “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica indentificata o identificabile” ha concluso che l’Url che riportava la qualifica di Presidente di quella determinata cooperativa, si riferiva in maniera inequivocabile alla persona del reclamante – visto che quest’ultimo rivestiva quella carica da moltissimi anni, tanto da essere ormai, specie nell’ambito della realtà di riferimento, univocamente messo in correlazione con essa. Per altro verso, l’articolo contestato risultava risalente nel tempo e riguardava un procedimento penale che era stato poi definito con una sentenza di assoluzione. E, di conseguenza, ha sottolineato il Garante, il pregiudizio subito dall’interessato dalla reperibilità sul web della Url in questione non poteva ritenersi bilanciato da un interesse della collettività a conoscere informazioni che risultavano inesatte e non aggiornate alla luce degli sviluppi procedimentali avuti poi dalla vicenda.
Il Garante Privacy ha dunque ingiunto a Google di rimuovere l’Url e di comunicare entro trenta giorni dalla data di ricezione del provvedimento le iniziative intraprese per dare attuazione a quanto prescritto.